Chiamami Mamma – Lettera all’ostetrica

Lettera all’ostetrica

Chiamami “Mamma”, come chiami tutte le mamme che accompagni nel loro primo incontro coi loro figli.

Anche io sono una mamma, pur se per me sarà il primo e insieme l’ultimo incontro con mio figlio.
Guardami, ma non giudicarmi.

Sono dentro un dolore che non ha confini, non ancora.

Sto attraversando qualcosa che non conosco e che scacciavo ogni volta che mi capitava di immaginarlo.
Stammi accanto e senti il mio dolore, ma non averne paura: è il mio, non il tuo.
Tu sei una figura importantissima, tu puoi fare la differenza per me: puoi essere quel sorriso gentile che ricorderò, quello sguardo accogliente che mi avrà saputo riscaldare per un po’.

Dimmi la verità: l’unica cosa che mi resta è la verità.

Accade.

Accade molto più di quanto si racconti.

Si tace.

Non sai perché, ma si tace questa realtà.

Non sono anormale, non è colpa mia, è la natura: lei fa così da sempre e spesso non se ne capisce il perché. Altre volte questi eventi hanno un motivo scientifico: una malformazione, una malattia, i geni…
Dimmi che farete il possibile per trovare le risposte al mio perché, così potrò dare pace ai miei dubbi.
Dimmi che, anche se non troverete quelle risposte, io posso già trovare pace ai miei dubbi: ho fatto tutto il possibile, l’ho portato dentro di me per tutto il tempo possibile, l’ho accolto, nutrito, custodito, protetto e amato per tutto il tempo che abbiamo avuto.

Io sono una buona madre.

Dimmelo, perché mio figlio è morto e il germe della colpa è già radicato in me.

Non consolarmi: non provarci. Non c’è consolazione per la morte di un figlio.
Non sminuire, ti prego: è di mio figlio che stiamo parlando.

Dammi altro tempo e dammi modo di mettere un punto: non farmi uscire da qui con le braccia vuote e il nulla più assoluto.
Dimmi che ho ancora cose da fare: il mio ruolo di mamma non è finito, posso ancora scegliere come salutare quel figlio che non avrò.
Dimmi che posso dargli un nome, se voglio.
Dimmi che posso dargli un funerale, se voglio.
Dimmi che posso dargli sepoltura, se voglio.
Posso dare un posto a questo figlio che non avrò mai.
Posso dare un ruolo a questo figlio che un posto l’aveva già, ma non lo occuperà.

Dimmi che se i riti esistono, a qualcosa servono e forse servono a trovare pace e darmi un tempo pieno di cose da fare per questo figlio. Le uniche cose che posso fare. Quelle che mi sono rimaste.

Dimmi che forse, mentre farò tutte queste cose, potrò imparare a vivere senza di lui.

Dimmi che forse, mentre farò queste cose, avrò la certezza di essere stata la madre di un figlio che ho avuto davvero, prima di dirgli addio.
Dimmi ancora che accade. Ripetimelo. Io non sono strana, diversa, anormale. Solo è una realtà che si tace.

Lo so, il tuo ruolo è ingrato, devi metterti da parte, devi sospendere il giudizio, devi accettare il mio dolore e portarne un pezzo con te.

Eppure tu sei la mia differenza. Tu sei la rotta. Tu sei il primo confine al mio immenso ed eterno dolore.

Grazie per essere qui con me, grazie per non avermi lasciato sola.

Una Mef

Lettera all’ostetrica

Tratta da Nato vivo, PM edizioni 2016

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