Dichiaro disinteresse per il feto

Puntuale ogni febbraio, ormai da anni, mi cade l’occhio sulle prime primule aggrappate al monte che risalgo più volte al dì.
Le primule… eh… m’è capitato di riconoscerne una proprio il pomeriggio in cui tornavo a casa con la notizia più traumatica della mia vita: portavo in grembo mia figlia morta.
Da allora le primule mi riportano a lei, puntuali, ogni febbraio.
Così oggi sostavo su una domanda: qual è stata la cosa peggiore di tutta la vicenda legata alla sua morte?
Beh… la peggiore è stata dover mettere la mia firma sotto una dichiarazione:

Dichiaro disinteresse per il feto

Disinteresse.
Io che da settimane stavo cercando di capire come poterla seppellire, temendo di perdermi passaggi e ritrovarmi senza aver esercitato la mia genitorialità, mi è toccato firmare il disinteresse verso mia figlia.
Una crudeltà.
Ho preso su il telefono e ho chiesto perché una cosa del genere: io mi stavo interessando, che fosse chiaro!
Tant’è… le formalità questo volevano ed io questo ho dovuto fare.
Il disinteresse mi è costato caro…
E mi sarebbe potuto costare anche di più, perché ho scoperto di recente che il campo del cimitero in cui le mie figlie sono state registrate, è stato svuotato, senza che nessuno mi avvisasse. Scommetto dipenda da quella firma… appena sotto il disinteresse.
Fortuna ha voluto che le mie figlie fossero registrate in un campo, ma sepolte in un altro, così sono ancora là, in attesa di qualcosa, ancora in attesa che me ne occupi, perché quel disinteresse pende sulle nostre sorti e rischia di dividerci senza il mio consenso.

Il mio consenso: io sono la madre, a me devono chiedere che fare dopo e poi ancora dopo. A me.

Invece… le formalità ci hanno fregato.
Ero inesperta. Forse anche spaventata. Senza forse: ero spaventata. Avevo paura di chiedere che sarebbe successo: va bene, le mettiamo lì e poi?
Perché la mente va e poi ancora.

Nessuno spiega con chiarezza come stiano le cose, perché di morte, cadaveri, bare e tombe, non si può parlare: che tristezza, perché ti vuoi tanto male?

Beh, in realtà mi voglio bene… cioè, voglio sistemare le cose senza lasciare dubbi o irrisolti, perché non mi voglio dannare con pensieri intrusivi.
Voglio star tranquilla, insomma.

Se potessi tornare indietro, farei altre cose. Innanzi tutto non le porterei al cimitero: un luogo che non mi piace.
Al cimitero ho sempre freddo, sono distratta dalla quantità di tombe, lapidi ed epitaffi: io vivo su un monte, in una frazione che conta sei persone, non amo i luoghi troppo affollati.
Manca intimità… come si fa a lasciare un pensiero libero di vagare, se gli tocca rimbalzare sulle storie di così tanta altra gente? Poi, diciamola tutta, il campo in cui sono state messe loro è destinato anche alle parti anatomiche riconoscibili. Arti, in sostanza. Uff… che fatica, immaginarle in mezzo a braccia e gambe mozzate.

Ecco, non lo sapevo, nessuno me lo aveva detto, s’è fatto tutto così, quasi di corsa, ma mica tanto: c’è voluto più di un mese e in più di un mese, non siamo riusciti ad avere intorno persone in grado di farci compiere la scelta giusta e poi non arrovellarci su.

La scelta giusta.
Ora non si può più fare, si rimedia continuamente all’errore, mentre passano gli anni. È così che si rimane incastrati nel dolore.
Lo so bene, dunque cerco soluzioni per districarmi, perché non è dolore ciò che voglio tenere, piuttosto quella dolcezza che mi assale quando la prima primula mi ricorda che qualcuno è passato da qui e… mi ha reso madre.

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