Fare un figlio può aiutare a superare il lutto di un figlio morto?
A questa domanda risponde il Prof. Campione, in uno dei diversi video che si trovano sul Canale YouTube di “ViteSpeciali“.
Di seguito la trascrizione della sua considerazione.
Fare un altro figlio può aiutare a superare il lutto di un figlio morto?
Se è un lutto di un certo tipo, cioè, se tu avevi col figlio che non c’è più un certo tipo di legame, che è un legame, diciamo, biologico: eri legato al figlio per quello che il figlio ti dava. Morto il figlio tu perdi tutto quello che il figlio ti dava, ne fai un altro e riacquisti quello che il figlio morto ti ha tolto. Succede spessissimo: nel mondo animale è così.
Alla morte si risponde generando altri cuccioli.
E nel mondo umano certe volte è così: si risponde in qualche modo sostituendo.
Il problema è quando al nuovo figlio si vuol far vivere la vita del figlio di prima.
Allora lì può non funzionare.
Poi ci sono però altre modalità di elaborazione del lutto, cioè quelle in cui tu un figlio lo consideri insostituibile, per cui, non è che ne fai un altro e lo sostituisci.
Perchè tuo figlio è insostituibile.
In quel caso il problema è farlo in qualche modo vivere.
Fare un altro figlio può aiutare certe persone, ma non tutti.
Perchè non tutti fanno i figli per lo stesso motivo, sono legati ai figli allo stesso modo.
Quando sei legato al figlio in senso biologico è come nel mondo animale: il figlio si sostituisce con un altro figlio.
Ci sono tantissime persone, per esempio, che avvertendo questo, quando hanno due figli e fanno un viaggio, non vanno mai coi due figli insieme. Spezzano la famiglia in due: la mamma va con uno e il papà con l’altro, perchè se succede qualcosa, non muoiono tutti.
Prof. Francesco Campione
Spesso ce lo sentiamo dire:
Fanne un altro!
Un po’ come se chiodo scacciasse chiodo, tuttavia il chiodo resta.
Altri auspicano che si attenda, da almeno sei mesi ad un anno, il tempo del lutto insomma. Tuttavia non si può mai davvero sapere quanto tempo occorra per attraversare il dolore per poi uscirne in piedi.
Altri ancora fanno un altro figlio e lo definiscono arcobaleno, investendolo della responsabilità di avere riportato gioia in esistenze provate.
Si può avvertire il bisogno di un figlio che occupi quella pancia vuota. Insieme alla paura che quella pancia non sappia più essere abbastanza accogliente.
Si può avvertire il desiderio di sentire nuovamente la vita fluire, una vita nuova, che sappia di speranza, di gioia di amore… e contribuisca a lenire il dolore di una morte inaspettata, improvvisa, indesiderata.
Se dovessi trovare le ragioni del mio proseguire a sognare, poi desiderare, infine cercare di partorire un figlio vivo, direi che siano dipese da diversi fattori: dalla biologia, che mi ha spinto a portare dentro la vita, dal desiderio di incontrare l’unicità di un figlio nuovo e poi dal desiderio di non cedere alla morte, alla paura, tutto il resto della mia esistenza. Avere accolto la morte nella mia biografia di persona, donna e madre, non ha significato averle ceduto il resto delle pagine da riempire.
So che la morte esiste, c’è, pende su di noi in ogni istante, per questo ogni momento ha un valore particolare e ogni conquista un sapore unico.
Curiosamente, più la morte ha mostrato il suo peso e più il valore dell’essere in vita è accresciuto.
Fonte: ViteSpeciali canale YouTube
Prof. Francesco Campione: laureato in Medicina e Chirurgia, specialista in Psicologia Medica, docente all’Università di Bologna. Fondatore e Direttore della Rivista Italiana di Tanatologia. Coordinatore del “Servizio di Aiuto Psicologico nelle situazioni di crisi”, presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Bologna. Fondatore dell’ Istituto di Tanatologia e Medicina psicologica, leader nella formazione tanatologica in campo sanitario. E’ tra i fondatori della IATS (International Association of Thanatology and Suicidology) di cui è presidente.
Curiosità sull’immagine:
L’ANGELUS di JEAN-FRANCOIS MILLET
“L’Angelus” è ritenuto il dipinto più “sentimentale” dell’artista. Le voci ufficiali ritengono ritragga la preghiera di una coppia per il magro raccolto.
Il pittore Salvador Dalí, che si interessò moltissimo a questo dipinto, era invece convinto rappresentasse la scena di un funerale, con la coppia in lutto per il loro bambino morto.
Su sua insistenza il quadro venne sottoposto ai raggi X provando l’esistenza di una piccola bara dipinta sopra il cesto di patate.
Un elemento importante del racconto e che forse spiega l’ossessione di Dalì per questa opera, talmente forte da spingerlo a scrivere un libro a riguardo, è che l’artista catalano venne al mondo 9 mesi esatti dopo la morte del fratello maggiore “Salvador” del quale portò poi il nome.
Il lutto dei suoi genitori era molto profondo e probabilmente non fu mai elaborato.
All’età di 5 anni, Dalì fu condotto da questi sulla tomba del fratello dove gli venne detto di esserne la reincarnazione, idea della quale lui stesso finì per convincersi. Di suo fratello, Dalí diceva:
Ci somigliavamo come due gocce d’acqua, ma rilasciavamo riflessi diversi. Probabilmente lui era una prima versione di me, ma concepito in termini assoluti.
Novella Buiani, settembre 2014