Perché accompagno le persone attraverso il lutto perinatale
Proviamo a fare una riflessione: una persona sceglie di fare l’insegnante perché nella sua vita ha visto morire un suo compagno di classe e ha dato senso all’esperienza diventando egli stesso un insegnante?
Un medico diventa medico perché ha visto morire un parente di una grave malattia e ha dato senso all’esperienza diventando egli stesso medico?
Un agricoltore diventa agricoltore perché ha visto morire di malnutrizione un suo caro e ha dato senso all’esperienza coltivando egli stesso cibo genuino?
Voglio dire, la correlazione è sempre direttamente proporzionale?
Oppure ci sono insegnanti che insegnano perché amano farlo, amano lo sguardo dei loro ragazzi, amano potersi spendere in questo modo per gli altri?
Esistono medici che amano curare perché amano farlo, amano poter stare accanto ai pazienti, amano potersi spendere in questo modo per gli altri?
E gli agricoltori? Ne esistono che scelgono questo mestiere perché amano la terra e i suoi frutti, sentirsi loro stessi in connessione con la natura e amano spendersi per poterla vedere rigogliosa e raccogliere i suoi frutti?
Questo per dire che si spera che ognuno svolga il suo ‘mestiere’ per amore e con passione, perché nello svolgerlo si sente bene con se stesso e trova risposta ad un bisogno, ovvero quello di spendere la propria esistenza per qualcosa che per lui è veramente importante e gratificante.
Nessuno si sognerebbe di pensare che un orafo faccia l’orafo per dare senso alla morte di una persona cara.
Eppure io me lo sento sempre dire: tu accompagni le persone attraverso il lutto perinatale, perché così hai dato senso alla morte delle tue figlie.
Ed io ogni volta rispondo:
Ebbene no.
Alla morte delle mie figlie ho dato un senso che non è questo.
Il mio impegno nel supportare le persone che attraversano il lutto perinatale ha un’altra radice: in questo ambito trovo risposta a quel mio bisogno di spendere la mia esistenza in qualcosa che per me è veramente importante e gratificante. Non colma un vuoto, non ripara la perdita, non sostituisco la cura verso le mie figlie con la cura verso altri; piuttosto restituisco senso alla mia fatica di orientarmi nel nulla che ho trovato quando è stato il mio turno.
Aiuto gli altri perché so quanto sia importante e faccia la differenza.
La fatica che ho fatto io, mica devono farla tutti eh… a che serve l’esperienza se non la si mette a disposizione?
Me la porto di là, come fosse un segreto? E allora di qua che ci sto a fare?
Ecco, l’ho detto.
Non sempre si vive per i morti, io vivo per me stessa, per esempio.