Storie da una casa per bambini, malati terminali, di Kathy Hull
Voglio presentarvi alcuni bimbi molto saggi che ho conosciuto, ma prima voglio presentarvi un cammello. Questo è Cassie, un cammello terapeutico che visita uno dei nostri giovani pazienti nella sua stanza, il che è quasi magico. Un mio amico alleva cammelli in un ranch sulle montagne di Santa Cruz. Ne ha circa otto, e ha cominciato 30 anni fa perché pensava che i cavalli fossero banali. John è un pensatore fuori dagli schemi, il che spiega perché noi due siamo così buoni amici da una vita. Negli anni, l’ho convinto a portarci quelle dolci bestie pelose per frequentare ogni tanto i nostri bimbi malati. Parlando con John, imparai con stupore che i cammelli hanno un’aspettativa media di vita di 40-50 anni.
L’aspettativa di vita di molti dei bimbi con cui lavoro è meno di un anno.
Questa è una foto della Casa Famiglia George Mark il primo centro pediatrico di cure palliative aperto negli Stati Uniti.
Lo fondai nel 2004, dopo anni di lavoro come psicologa in unità di cura intensiva pediatrica, demoralizzata per le morti indecorose che molti bimbi provarono e che le loro famiglie dovettero patire. Mentre sedevo con le famiglie i cui figli erano al termine della loro vita, ero profondamente sensibile all’ambiente. Mentre il treno sopraelevato brontolava sopra la testa sul binario, la stanza quasi letteralmente risuonava ad ogni carrozza del treno che passava. Le luci della corsia erano fluorescenti e troppo brillanti. I monitor emettevano beep, così come l’ascensore, annunciando rumorosamente il suo arrivo. Queste famiglie stavano passando alcuni dei momenti più strazianti delle loro vite, volevo quindi che avessero un luogo più tranquillo in cui dare il loro ultimo addio ai giovani figli e alla figlie. Certamente, pensai, deve esserci un posto migliore di un’unità ospedaliera di cure intensive per bambini al termine della loro vita.
La nostra casa-famiglia è calma e protettiva.
Questo dolce bimbo, Lars, venne da noi direttamente dall’unità ospedaliera di cura intensiva. Immaginate di sentire la lacerante notizia che nessuno di noi avrebbe mai voluto sentire. Ai loro genitori era stato detto che Lars aveva un’anomalia al cervello che gli avrebbe impedito per sempre di deglutire, camminare, parlare, o svilupparsi mentalmente. Capendo che c’era una scarsa probabilità che sopravvivesse, i suoi genitori decisero di concentrarsi sulla qualità del tempo che potevano passare con lui. Si trasferirono in uno dei nostri appartamenti facendo tesoro di ogni giorno rimasto. Davvero troppo pochi. La vita di Lars fu breve, di sicuro, poche settimane, ma fu calma e rassicurante. Andava in gita con i genitori. Il tempo trascorso nella piscina con il terapista acquatico ridusse le crisi che pativa e lo aiutò a dormire la notte.
La sua famiglia aveva un luogo tranquillo in cui celebrare la sua vita e piangere la sua morte.
Pochissime persone vogliono parlare della morte, e ancora meno della morte dei bambini.
La perdita di un figlio, soprattutto per quelli di noi che hanno figli, è spaventosa, più che spaventosa, paralizzante, debilitante, impossibile. Ma ciò che ho imparato è questo: i bambini non smettono di morire solo perché noi adulti non riusciamo a comprendere l’ingiustizia di perderli. E per di più, se riusciamo ad essere così coraggiosi da affrontare l’idea della morte, anche tra i più innocenti, otteniamo un tipo di saggezza senza pari.
Guardate Crystal, per esempio. È stata una dei primi bambini ad entrare in cura dopo aver aperto le nostre porte. Aveva 9 anni quando è arrivata ed il suo neurologo stimava che potesse vivere altre 2 settimane. Aveva un tumore inoperabile al cervello, ed il suo declino era avanzato molto nella settimana prima di venire da noi. Dopo essersi sistemata nella sua stanza, totalmente vestita di rosa e lavanda, accerchiata dagli accessori di Hello Kitty che lei amava, trascorse i molti giorni successivi conquistando i cuori di ogni membro dello staff. Gradualmente, la sua condizione si stabilizzò e poi, con nostro gran stupore, migliorò veramente. Ci furono una quantità di fattori che contribuirono al miglioramento di Crystal che più tardi arrivammo a chiamare il “Colpo di George Mark“, un adorabile, non inconsueto fenomeno in cui i bimbi sopravvivono alle prognosi delle loro malattie se sono fuori dall’ospedale.
L’atmosfera più calma dell’ambiente, pasti gustosi preparati spesso per accontentare le loro richieste, gli animali domestici presenti, il cane e il coniglio terapeutici che passarono molto tempo con Crystal.
Dopo essere stata con noi per circa una settimana chiamò la nonna e le disse: “Caspita, vivo in gran bella casa, e c’è spazio anche per te. E indovina? Non devi portare quarti di dollaro perché lavatrice e asciugatrice sono gratis”.
La nonna di Crystal arrivò presto da fuori città, e trascorsero i restanti 4 mesi della vita di Crystal godendo insieme a lei giornate molto speciali. Alcuni giorni erano speciali: Crystal era fuori, sulla sedia a rotelle, vicino alla fontana. Per una bimba che aveva passato gran parte dell’anno in un letto d’ospedale l’essere fuori a contare i colibrì creò un momento incredibile con sua nonna con molte risate. Altri giorni erano speciali per le attività che il nostro specialista pediatrico creava per lei. Crystal infilava perline e creava gioielli per tutti nella casa. Dipinse una zucca per aiutare nelle decorazioni per Halloween.
Trascorse molti giorni emozionanti pianificando il suo decimo compleanno, che ovviamente nessuno di noi pensava avrebbe mai visto.
Tutti noi indossammo dei boa rosa per l’occasione e Crystal, come potete vedere, regina per un giorno, indossò una sfavillante corona.
Era piccolo. “Lo so”, ammise con un gran sorriso, “ma me lo merito”.
E lì stavano le parole di saggezza di una giovane ragazza la cui breve vita influenzò per sempre la mia. Crystal lo meritava e non dovrebbe meritarlo ogni bambino, la cui vita viene abbreviata da una malattia orribile? Tutti noi oggi, insieme, possiamo offrire le stesse cure specialistiche che Crystal ricevette, riconoscendo che la cura di sollievo e ospizio pediatrico è un componente critico mancante dal nostro panorama sanitario. È anche interessante notare che possiamo fornire questa cura a circa un terzo del costo di un’unità di cura intensiva ospedaliera, e le nostre famiglie non vedono una fattura.
Siamo eternamente grati ai sostenitori, che credono nell’importante lavoro che facciamo.
La verità è che i miei colleghi, i genitori e gli altri membri famigliari che hanno l’occasione di provare questa speciale saggezza sono in una posizione unica. Ci sono solo 2 istituti pediatrici indipendenti negli Stati Uniti, benché sia lieta di dire che, in base al nostro modello, ce ne sono altri 18 in vari stadi di sviluppo.
Tuttavia, molti dei bambini che muoiono negli USA ogni anno muoiono in stanze d’ospedale, circondati da macchinari rumorosi e da adulti ansiosi, esausti, che non hanno altra alternativa che dire addio sotto quelle luci austere, istituzionali e tra estranei virtuali. Ai fini comparativi, il Regno Unito, che è un Paese con circa un quinto della popolazione degli Stati Uniti e circa metà delle dimensioni dello stato della California, ha 54 centri di cura e sollievo. Perché? Mi sono ovviamente posta questa domanda molte volte. La mia ipotesi è che gli americani, con il nostro atteggiamento costruttivo, sperano che il nostro sistema sanitario possa sistemarlo, anche se potrebbe essere un malattia infantile per cui non c’è cura.
Adottiamo misure straordinarie per mantenere in vita i bambini quando in realtà la grande bontà che gli potremmo offrire sarebbe una pacifica, indolore conclusione della vita. La transizione dal trattamento medico alla cura rimane una sfida per molti medici ospedalieri, la cui formazione è stata davvero salvare vite, non condurre dolcemente il paziente alla fine della vita.
Il papà di una dolce bimba di cui ci occupammo alla fine della sua vita sicuramente catturò questa dicotomia, quando pensò che ci sono molte persone che ti aiutano a portare alla luce un neonato, ma pochi che ti aiutano quando se ne va.
La notte dell’evento comprende giri su macchine d’epoca, il passaggio sul tappeto rosso nella grande sala, un formidabile DJ e un fotografo pronto a catturare immagini di questi partecipanti e delle loro famiglie. A fine serata quest’anno, una delle nostre giovani deliziose adolescenti, Caitilin, disse a sua mamma: “È stata la notte più bella di tutta la mia vita”. E questo è il punto, catturare i giorni e le notti migliori, abolire le limitazioni, far si che la risposta predefinita sia “sì” e che la domanda predefinita sia: “Perché no?”