Sull’aborto volontario

Mara: «Tu che ne pensi?»

Sonia: «A proposito di cosa?»

Mara: «A proposito delle donne che scelgono…»

Sonia: «Scelgono cosa?»

Mara: «Di abortire. Perché non è la stessa cosa. A noi è capitato. Siamo state più sfortunate. Siamo state chiamate a sopportare questo immenso dolore. Cosa darei per potere tornare indietro! E poi c’è chi questo dono lo getta via. Inconcepibile!»

Sonia: «Cosa?»

Mara: «Come cosa? Perché tu sei d’accordo? Cioè, uccideresti tuo figlio?»

Sonia: «In verità penso che la mia opinione valga solo per me e per il resto del mondo sia irrilevante.»

Mara: «Irrilevante? Cioè se ti trovassi al posto di una di quelle donne, tu lo faresti?»

Sonia: «Ecco, è proprio questo il punto: non mi sono mai trovata al posto di una di queste donne. Mi sono capitate situazioni complesse e dolorose, ma non questa, finora. Perciò non so che farei. Non ti ci sei trovata nemmeno tu finora, perciò l’opinione che esprimi è un ragionamento ideale… Però, in quel posto lì, proprio in quel momento lì, c’era una donna, che non siamo né tu, né io. C’era proprio lei. Lei, con la sua storia, il suo contesto affettivo, lavorativo, culturale, le sue aspettative e le sue paure… Chissà quali e quante. Immagino che, con grandissima fatica, abbia compiuto la sua scelta migliore.»

Mara: «Non è mai la scelta migliore rifiutare un figlio.»

Sonia: «Infatti. Chi ti ha detto che lo abbia rifiutato, noi non conosciamo le ragioni di tale scelta…»

Mara: «Beh, ha abortito.»

aborto volontarioSonia: «Ha compiuto una scelta, ha esercitato un diritto… non è detto che in questa scelta ci sia il rifiuto. Possono essere altri i motivi che hanno condotto a tale decisione. Come facciamo noi a giudicare senza sapere e, quand’anche sapessimo, perché abbiamo bisogno di giudicare? Non è del giudizio ciò di cui si sente bisogno, non credi? Piuttosto è l’ascolto che manca. Manca perché il giudizio occupa tutto lo spazio disponibile.»

Mara: «Come fai a dire queste cose? Proprio tu che hai dovuto dire addio per forza a tuo figlio?»

Sonia: «Beh, potrei rivolgerti la medesima domanda: come fai a dire tu queste cose? Proprio tu che, come me, sai bene cosa significhi dire addio ad un figlio? Pensa cosa deve essere stato per questa mamma comprendere che questa fosse la sua scelta migliore: prima e soprattutto per suo figlio, e chissà se l’abbia sentita anche migliore per sé. Spero di sì…»

Mara: «No guarda, le due cose non possono proprio essere messe sullo stesso piano: a noi è capitato e non abbiamo avuto scelta, le donne che se lo scelgono, beh, una scelta l’hanno fatta. Che si arrangino, meritano di soffrire.»

Sonia: «A volte è proprio difficile uscire dalla nostra sofferenza per andare in contro a quella dell’altro e…»

Mara: «… e fare cosa?»

Sonia: «Riuscire ad accettare… che il figlio che hai perso tu non sarebbe mai stato quello a cui ha rinunciato leiNulla ci restituirà i nostri figli e le nostre figlie, nemmeno obbligare le donne di tutto il mondo a compiere le scelte che approviamo. Noi non siamo alcuna di queste donne. Noi siamo noi. Non c’eravamo noi a dover scegliere, ma loro. Non importa cosa pensiamo noi… Noi abbiamo solo la nostra esperienza e dal centro di essa abbiamo dovuto per forza fare i conti con la morte così come ci è giunta. Noi restiamo libere di agire come riteniamo sia meglio per noi: perché dovremmo  impedirlo agli altri?»

Mara: «Incredibile! Non mi capacito davvero di sentire uscire proprio dalla tua bocca tali affermazioni!»

Sonia: «Beh, credo che sforzarci di non giudicare e di accogliere l’altro nella sua unicità e insostituibilità, sia un fatto prioritario, sebbene non molto comune di questi tempi. Ci vorremmo tutti uguali e tutti omologati. Ma da sempre sono le differenze ad averci consentito di evolvere… Credo che sia veramente importante preservare l’autonomia di pensiero e la libertà.»

Mara: «Libertà un corno! Questa non è libertà!!!»

Sonia: «No, hai ragione. In fondo non lo è per tutti, perché in effetti tra le molte donne che ho ascoltato, non tutte si sono sentite libere di scegliere. Piuttosto si sono sentite costrette a compiere l’atto più difficile e doloroso della loro esistenza. Molte lo hanno fatto nonostante i giudizi della gente, tutti un po’ simili ai tuoi. Molte lo hanno fatto lasciandosi umiliare dagli operatori, che, talvolta in questi casi, dimenticano quale giuramento abbiano compiuto e mostrano il peggio dell’essere umano. Poi hanno trovato la solitudine che conosciamo bene e in più l’ostilità, quella che stai incarnando perfettamente. E mi dispiace…»

Mara: «Ah! Ti dispiace! Adesso la cattiva sarei io, ma ti senti?»

Sonia: «Tu sei arrabbiata per avere perso tuo figlio. In questo siamo tutte uguali: siamo tutte senza nostro figlio. Se anziché giudicare e concentrarci solo sul nostro dolore, ascoltassimo e ci aprissimo all’altro, sentiremmo con le orecchie e col cuore che in molte il dolore è il medesimo. E se essere contro non ci restituisce i nostri figli, né allevia la nostra pena, provare a comprenderci invece ci permetterebbe di essere davvero meno sole. Si sa: i grandi traguardi si raggiungono meglio insieme.»

Novella ed Erika, Dialoghi sparsi sul lutto perinatale (2019)


Ángel Boligán Corbo è vignettista e caricaturista cubano. Autore dell’immagine che abbiamo scelto per questo Dialogo, poiché, a nostro avviso, incarna molto bene il senso di stritolamento che il giudizio ha sulle donne che scelgono l’aborto volontario.

Pubblicato per la prima volta il 6 gennaio 2019

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