Nell’ambito della morte pre e perinatale, quando si fa menzione alla sepoltura dei feti, essa è spesso associata ad una questione di fede religiosa.
Probabilmente accade poiché la religione assegna senza ombra di dubbio il valore di persona alla vita fin dagli stadi embrionali e fetali, mentre la società comune fatica ad assegnare un valore sociale a coloro che non ha visto né esperito. Probabilmente accade anche poiché sono più che altro persone di fede ad adoperarsi affinché anche coloro che sono definiti erroneamente Mai Nati possano accedere alla sepoltura, evitando di essere smaltiti come scarti ospedalieri.
Questo argomento solleva molte questioni che difficilmente potranno ottenere risposte nette ed universali, tuttavia ritengo sia auspicabile riuscire a compiere un passo nella direzione laica della sepoltura degli embrioni e dei feti, poiché il bisogno di dare un luogo ai propri morti ha origini molto antiche, molto più antiche del dio monoteista che oggi sembra essere l’unico custode del valore della vita umana fin dai suoi albori.
E’ sufficiente aprire un sussidiario per incontrare i primi rudimenti di culto dei morti: le prime sepolture accompagnate da gesti rituali risalgono all’uomo di Neanderthal, vissuto nel paleolitico medio (da 120.000 anni fa).
Si ritiene che la ragione della sepoltura all’epoca dipendesse dal credere che l’anima continuasse a vivere oltre la morte del corpo: crearle buone condizioni di vita oltre la morte, evitava che si potesse presentare a tormentare i vivi. Così i defunti erano adagiati in posizione dormiente, erano lasciate loro provviste, armi, ninnoli preziosi o addirittura erano costruiti loro monumenti, così da ingraziarseli.
Fare i conti con il termine della vita è una questione prettamente umana: essa ci distingue dagli animali.
E’ insito nel nostro essere umani ritualizzare ogni passaggio importante della nostra esistenza.
Offrire un luogo in cui custodire le persone che abbiamo amato o che hanno avuto un ruolo importante nella nostra esistenza, piuttosto che nella nostra storia, anche intesa come storia di civiltà e popoli, è il modo in cui teniamo traccia della nostra memoria.
Seppellire un embrione o un feto non ha senso rispetto al fatto che la religione cattolica assegna a quell’insieme di cellule un’anima e quindi dignità di vita e di morte, ma ha senso nella misura in cui quell’essere vivente possiede un ruolo all’interno della famiglia in cui è giunto. Non occorre credere in Dio per avvertire il proprio embrione o feto, quale figlio e quindi membro della propria famiglia.
E’ ormai noto, sulla base di ricerche scientifiche, come gli embrioni, fin dalla settima settimana di gestazione, abbiano una stretta relazione di condivisione con la madre. Una relazione fatta di scambio reciproco che costruisce una memoria cellulare in entrambi.
Offrire ai genitori che vivono la morte del loro figlio, in epoca pre e perinatale, l’accesso alla possibilità di seppellire il loro defunto, non significa concedere loro di espletare un rito religioso, bensì significa riconoscere loro d’essere la famiglia di quel figlio che hanno perduto. Un figlio che non è tale poiché Dio lo ritiene tale, ma un figlio che è tale poiché i suoi genitori lo considerano tale, a prescindere dalla loro fede religiosa.
La dignità del defunto non esiste solo in relazione ad una dignità di vita assegnata da un essere superiore, ma esiste in relazione ad una dignità di vita (e di morte) che noi tutti, come singoli esseri umani, dovremmo avere diritto e libertà di conferire a coloro che abbiamo amato e che dobbiamo imparare ad amare nella loro assenza.
Avere accesso alla sepoltura non dovrebbe essere una pratica solo per credenti, costituita a misura di credenti, ma dovrebbe essere riconosciuta quale rituale attraverso cui (ormai da migliaia di anni) ogni essere umano può incanalare il dolore che prova per la morte del suo defunto, compiendo gesti che lo aiuteranno ad individuare il posto corretto di quel defunto, all’interno della sua personale e unica narrazione familiare.
Il diritto/libertà di sepoltura dovrebbe essere quindi riconosciuto quale percorso di grande utilità per attivare una propria personale strategia di elaborazione del lutto.
Tale riflessione emerge in seguito alla lettura dell’articolo seguente: Una sepoltura per i bimbi Mai Nati